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Ripartire davvero, non di nuovo


Abbiamo perso le elezioni amministrative a Roma. Una sconfitta netta, senza attenuanti, come ha subito riconosciuto Matteo Renzi. E come è giusto che riconosciamo tutti. A urne ancora aperte è scattata subito la caccia al capro espiatorio sulle cui spalle gettare tutte le responsabilità della sconfitta. E subito dopo, l’affannosa ricerca delle potenziali arabe fenici, pronte a risorgere subito dalle ceneri della disfatta. Un film già visto, i cui protagonisti negli anni si sono scambiati spesso vicendevolmente i ruoli senza lasciare mai la scena, dividendo tra loro uno spazio sempre più angusto sul palcoscenico della città. I romani questa volta hanno scelto di guardare dall’altra parte. Tra I e II turno mentre sono tornati a votare per Roberto Giachetti gli elettori che lo avevano scelto e quasi altri 60.000 elettori, i voti di Virginia Raggi sono aumentati di oltre 300.000. E’ questo il dato più eclatante: 8 elettori su 10, dopo aver scelto Meloni, Marchini, Fassina o Di Stefano tornando a votare al secondo turno, hanno scelto la candidata del M5S. Non è stata l’indicazione di un partito, ma la scelta di una città.

Certe sconfitte non si cancellano, si superano. E io credo che questa volta dovremo fare le cose con calma. Ripartire dall’analisi della città che abbiamo incontrato.

Quando si fa cattiva amministrazione la campagna elettorale la fanno i politici, quando si fa buona amministrazione la campagna elettorale la fanno i cittadini. Roberto Giachetti ha scelto una squadra di governo competente e credibile, ha voluto presentare al suo fianco liste pulite e rinnovate ed elaborato un programma all’altezza della sfida. Ha attraversato tutta Roma senza risparmiarsi, al fianco di candidati presidenti di municipio competenti e appassioni che conoscono e amano ogni singolo quartiere della nostra città. Non è bastato. All’indomani del fallimento amministrativo degli ultimi anni, mentre Roberto e noi candidati cercavamo affannosamente di spiegare le nostre ragioni, la città faceva campagna elettorale per la Raggi. Senza bisogno di troppi volantini o candidati. Semplicemente. Come in passato aveva fatto campagna elettorale per Rutelli e Veltroni alla vigilia del secondo mandato. O per Alemanno, in altri frangenti.

Oltre gli elettori che non ci perdonano di aver fatto cadere Marino e quelli che non ci hanno mai perdonato di averlo candidato; oltre il disgusto per le vicende di mafia capitale; oltre il voto di protesta contro le politiche del Governo, abbiamo perso queste elezioni perché Roma è una città oltraggiata, umiliata, sporca e ferita nel profondo.

Questa volta sono stati i romani esasperati a fare la campagna elettorale del M5S. A credere nelle loro ricette semplicistiche così rassicuranti. A preferire i discorsi letti da Virginia Raggi, all’onestà e alla competenza di Roberto Giachetti. Perché oltre ogni candidato o programma, Roma oggi è una città dove interi quartieri non hanno strade e servizi e dove troppi romani passano ore della propria giornata stretti nelle morse del traffico, dove a tratti non arriva ovunque l’acqua potabile e dove depuratori malfunzionanti creano disagi incredibili, dove cittadini che cadono nei tombini rubati devono restare per ore in attesa dell’arrivo dei vigili se vogliono denunciare l’accaduto, dove se adotti un’area verde vieni sottoposto a mille oneri burocratici.

E questa città noi l’abbiamo governata più a lungo di chiunque altro.

Una città non a misura di cittadino, dove l’amministrazione è avvertita come ostile, nemica. La Raggi lo ha capito e sa che da questo dovrà partire. Il suo primo video in Campidoglio, appena eletta, ha indicato una rotta chiara, entriamo insieme, scopriamo insieme che cosa c’è, prendiamoci tutto il tempo che ci serve per “cominciare a cambiarlo”. Lo schema di gioco è chiaro, se arriverà qualcosa di buono sarà merito della Sindaca, per quello che non funziona i romani sanno già con chi devono prendersela. Non basterà qualche mese a dilapidare questo patrimonio di consensi per il M5S. La fiducia è un materiale ad altissima temperatura di combustione, una volta concessa serve una temperatura altissima a farla bruciare. Raggiunta quella temperatura brucia in un istante. La ragione è semplice, nessuno ama ammettere di aver sbagliato. E ci vorrà ben altro di qualche nomina sbagliata o qualche retroscena giornalistico a dilapidare il patrimonio di consensi raccolti da Virginia Raggi. Attenzione al gioco dello specchio riflesso, per i primi mesi la Raggi rigirerà la frittata, attribuendo a “quelli che c’erano prima” tutte le responsabilità circa i problemi della città.

Ed è da questi problemi che anche noi dobbiamo ripartire.

Roberto Giachetti aveva colto un punto cruciale. Partendo dall’elenco delle incompiute. Un elenco sostanzioso di opere mai completate che gridano vendetta. Aveva fatto una promessa: se sarò Sindaco, metterò davanti a ciascuna di quelle opere un cartello con la data di fine lavori, da quei monumenti a quello che sarebbe dovuto essere e non è stato. Riportiamo i nostri eletti e non, i nostri militanti, le nostre bandiere davanti a quello che oggi a Roma non funziona, per cercare di capire insieme ai romani che cosa si può fare. Cerchiamo di mettere comunque quel cartello, anche se abbiamo perso. Alla sindaca Virginia Raggi possiamo segnalare puntualmente errori e mancanze, cercando al tempo stesso di indicare la strada per fare ciò che si deve fare nel migliore modo possibile, nell’interesse dei cittadini. Mostriamo il volto più bello della politica, quello per cui abbiamo cominciato ad amarla. Un lavoro umile e concreto, utile a ritrovare nella città le energie che abbiamo disperso e ritornare a guardarci intorno. Per la nostra generazione, cresciuta negli anni dell’Ulivo, il centrosinistra è una condizione naturale. Lo prova il sorriso coraggioso di Massimo Zedda, fresco di vittoria a Cagliari e subito pronto a volare a Casal Monastero per dare man forte a Giachetti nella campagna per il ballottaggio. Ora la nostra generazione deve saper tornare a costruire zolla a zolla un terreno di lavoro comune, proprio a partire dai problemi quotidiani dei romani. Dobbiamo tornare insieme di forze e valori sociali e culturali capaci di trovare sintesi politica.

I grillini al governo faranno degli errori, collezioneranno una gaffe al giorno e tante mosse comunicative azzeccate, si divideranno in correnti e correntine, cominceranno a litigare su assessorati e consulenti, hanno già cominciato. Troveranno anche persone valide, competenti e capaci pronte ad aiutarli, che li aiuteranno a fare cose utili, come è normale che sia. Riceveranno continue direttive da Milano e da Genova, qualcuno si opporrà come a Parma, scopriranno presto cosa significa cimentarsi con l’amministrazione di una realtà così complessa e importante. Diventeranno un partito come tutti gli altri e forse lo sono già diventato. Non ci deve interessare, o meglio, ci deve interessare il giusto. Non deve essere questa la nostra corsa. Un mio amico dei tempi del liceo, che fino a queste elezioni aveva sempre votato PD, sapete cosa ha scritto su fb all’indomani degli attacchi del Fatto Quotidiano per le consulenze della Raggi? :“Almeno questo prova che lei nella sua vita ha anche lavorato!”. Questo è il clima nella città, e non lo si cambia con qualche tweet o editoriale dei quotidiani. Noi non dobbiamo inseguirli sulle agenzie e sui social, non in questo senso almeno. Ritorniamo a montare gazebo e banchetti, nei luoghi del più grande disagio della città. La prossima campagna elettorale è già cominciata, quella collettiva, quella da cui dipende il senso della nostra intera comunità. Non quella interna, la faida utile a determinare i rapporti di forza in un circuito sempre più ristretto di preferenze. Dimostriamoci forza di governo momentaneamente all’opposizione, in tutta la città e non solo in Aula Giulio Cesare. Dobbiamo scegliere il terreno del confronto, e questo terreno non può che essere il bene di Roma. Questo si aspettano da noi i romani che ci hanno votato, ma soprattutto quelli che non ci hanno votato. E che dobbiamo tornare a convincere.

In fondo è quello che ha fatto il M5S negli ultimi anni, è quello che i grillini hanno imparato da noi. E che noi abbiamo fatto sempre meno negli anni. Abbiamo l’occasione della campagna per il referendum costituzionale, viviamola a viso aperto, nella città. Fin da subito per incontrare i romani e spiegare quello che stiamo cercando di fare, per le nostre istituzioni e per il nostro paese. Cominciamo ad usare davvero la rete, le potenzialità della società digitale, non solo per relazionarci tra di noi e guardarci vicendevolmente l’ombelico, ma per accorciare la distanza tra noi e i cittadini, partendo da problematiche reali e istanze territoriali. In quanti gruppi nel quale compare la parola PD siamo iscritti su fb? E in quanti legati a problematiche specifiche della nostra città e ai nostri quartieri? Il Partito Democratico avrà ancora senso in questa città solo se svolgerà questa funzione. E se ritornerà a studiare quello che succede per capirlo davvero e non per cercare solo di spiegarlo. Quello che è oggi a Roma il Partito Democratico, al netto di tutto il grande lavoro fatto in questi mesi difficili di commissariamento, non può ancora minimamente ambire a questo ruolo, dobbiamo esserne tutti consapevoli. Quello che il PD è nato per essere forse sì, ed è questo il perimetro della sfida che abbiamo di fronte. Oltre la retorica del buono e cattivo, dovremo capire quale può essere oggi la formula vincente per tornare a radicare una comunità viva e vitale nella nostra città, abolire le rendite di posizione per tutti e premiare l’operato delle classi dirigenti territoriali che sapranno recuperare consensi al partito e non quelle più attrezzate a fare incetta di preferenze individuali, spesso a scapito del risultato generale. Tornare ad agire, pensare, studiare come una comunità, ritrovare il senso di un impegno comune.

In questa lunga, difficile e bellissima campagna elettorale ho conosciuto tante splendide persone pronte a metterci la faccia nonostante tutto candidandosi nei Municipi e al Comune, persone che hanno reso possibile la campagna del PD e animato la Stazione di Giachetti rinunciando a molto nel loro privato per costruire con il loro lavoro quotidiano un pezzetto di speranza collettiva. Non è bastato, ma è stato davvero tanto. Un patrimonio di impegno e di fiducia da cui vale la pena ripartire. Il PD che ho amato, e nel quale non ho mai smesso di credere deve diventare la casa per queste persone. Se fallisse in questo compito sarebbe un partito da rottamare. Dobbiamo aprire una discussione su quello che possiamo essere, molto prima di cominciare a discutere su chi dovrà guidarlo. Ed essere ogni giorno un primo passo del cambiamento che vorremmo vedere in città. Dobbiamo farlo insieme, in tutti i momenti che sapremo costruire per non sprecare l’occasione di riscatto che offre sempre ogni sconfitta, per non disperdere la bella speranza per Roma che insieme abbiamo saputo coltivare anche nel momento più difficile.


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